The Society Magazine – Decrypting Tomorrow #4
Idrogeno verde e e-fuel: un futuro sostenibile per i trasporti pesanti


 
di Matteo Confalonieri
25 Febbraio, 2022

La riduzione delle emissioni di CO2 per combattere il cambiamento climatico è una priorità non più rimandabile, ed è una battaglia da vincere su molteplici settori. In questo scenario, le alternative sostenibili ai combustibili fossili giocheranno un ruolo chiave

Occorre un futuro più verde per i trasporti pesanti.

Il settore (camion e autocarri, trasporto aereo, trasporto marittimo e treni) è responsabile dell’emissione annua di circa 4,3 miliardi di tonnellate di CO2, che rappresentano l’8,8% delle emissioni globali annue di anidride carbonica, secondo dati del 2016 riportati da climatewatchdata.org. L’elettrificazione dei veicoli promette una mobilità e trasporti più sostenibili, sebbene l’utilizzo di batterie nel trasporto pesante possa essere inadatto a causa di diversi fattori. In particolare, può essere di difficile applicazione se il veicolo deve essere molto leggero, deve raggiungere un alto grado di autonomia, o ha bisogno di tempi di rifornimento molto brevi. Per queste ragioni, le soluzioni sostenibili che si stanno studiando per i trasporti pesanti sono quelle relative all’idrogeno e agli e-fuel.

Una fonte di alimentazione alternativa “a colori”

L’idrogeno è contenuto nell’acqua e negli idrocarburi ed è uno degli elementi più abbondanti e disponibili sulla crosta terrestre (nonché il più abbondante nell’universo). Ci sono quattro modi principali per generarlo, associati a una serie di colori a seconda  del processo di produzione e dell’impatto sull’ambiente: grigio, blu, verde e rosa.

  • Idrogeno grigio. Il processo più comune – e più inquinante – per la produzione di idrogeno è quello che utilizza come materia prima il gas naturale o il carbone, i quali, reagendo con il vapore ad alte temperature e generando pressioni per produrre gas di sintesi, producono principalmente idrogeno e monossido di carbonio. Il gas di sintesi ottenuto viene poi fatto reagire con ulteriore acqua per produrre idrogeno puro e CO2. Si tratta di un processo consolidato, già ampiamente utilizzato in ambito industriale, che tuttavia genera emissioni significative di anidride carbonica. È per questo motivo che l’idrogeno creato da questo processo non “pulito” viene detto “grigio”.
  • Idrogeno blu. La produzione di idrogeno blu si basa sugli stessi processi di base dell’idrogeno grigio ma, a differenza di quest’ultimo, mira a intrappolare fino al 90% delle emissioni di gas serra attraverso la tecnologia di cattura del carbonio, e rappresenta quindi una tecnologia più pulita rispetto alla prima. In alcuni casi, il carbonio viene immagazzinato nel sottosuolo, con un procedimento che richiede notevoli costi di capitale. In alternativa, viene riutilizzato come materia prima per applicazioni industriali, in cui, quindi, la CO2 viene ancora rilasciata nell’atmosfera.
  • Idrogeno verde. Il processo più promettente, l’idrogeno verde, usa l’energia rinnovabile per alimentare l’elettrolisi che divide le molecole d’acqua in idrogeno e ossigeno. Si tratta del processo più pulito, visto che impiega energia da fonti rinnovabili, ed è per questo motivo che l’idrogeno prodotto in questo modo viene definito “verde”.
  • Idrogeno rosa. Anche l’idrogeno rosa viene prodotto tramite elettrolisi dell’acqua, ma il processo non viene alimentato dall’energia prodotta da fonti rinnovabili, bensì dall’energia nucleare. Si tratta di un processo quindi pulito, ma più controverso rispetto a quello per la produzione di idrogeno verde.

Gli esperti puntano sul “verde”

La domanda totale annuale di idrogeno verde potrebbe crescere da 62 milioni di tonnellate nel 2018 a 530 milioni di tonnellate nel 2050 (tasso annuo di crescita composto tra il 2018 e il 2050 del 6,9%), sostituendo circa 10,4 miliardi di barili di petrolio equivalente (37% della produzione globale di petrolio pre-pandemia) in vari settori come il riscaldamento, i trasporti, la produzione di energia, i prodotti chimici e la produzione di acciaio primario. Nel report “The dawn of green hydrogen”, pubblicato nel 2020 da Strategy& (PwC), si legge che il mercato globale di esportazione annuale dell’idrogeno verde dovrebbe valere circa 300 miliardi di dollari all’anno entro il 2050.

Attualmente l’idrogeno verde costa molto di più dell’idrogeno grigio (parliamo in media di un prezzo di produzione più alto del 73%-110%), e anche più dell’idrogeno blu (il 27%-31% in più). Per fare un raffronto, l’idrogeno verde costa tra 2,1 e 3,8 dollari al chilogrammo, contro 1,6-3 dollari al chilogrammo di quello blu e 1-2,2 dollari di quello grigio. Ma entro il 2030 l’idrogeno verde dovrebbe diventare più economico dell’8%-13% rispetto all’idrogeno grigio e del 27%-29% rispetto all’idrogeno blu, sempre secondo il report già citato.

Il principale costo per la produzione in loco di idrogeno verde è il costo dell’elettricità rinnovabile necessaria per alimentare l’elettrolizzatore. Questo rende la produzione di idrogeno verde più costosa dell’idrogeno blu, indipendentemente dal costo dell’elettrolizzatore. Un basso costo dell’elettricità è quindi una condizione necessaria per produrre idrogeno verde in modo competitivo. Tuttavia, il basso costo dell’elettricità da solo non è sufficiente, e sono necessarie anche riduzioni del costo degli impianti di elettrolisi.

 

Green Hydrogen cost

Source: “The dawn of green hydrogen”, Strategy&,PwC 2020

 

A tal proposito, vale la pena di soffermarsi su questo processo, precisando che esistono attualmente tre principali tecnologie per l’elettrolisi con diversi livelli di maturità.

  • L’elettrolisi alcalina (“AE”), è la tecnologia più basilare e matura, e vanta una quota di mercato di circa il 70% del mercato dell’idrogeno verde. Beneficia di un basso costo e permette un processo che ha una lunga vita operativa. Tuttavia, i processi di elettrolisi alcalina hanno bisogno di funzionare continuamente, altrimenti l’attrezzatura di produzione rischia di danneggiarsi. La natura intermittente dell’energia rinnovabile, quindi, la esclude come unica fonte di energia per questo genere di elettrolisi.
  • Un’altra tecnologia impiegata nel processo produttivo dell’idrogeno verde è l’elettrolisi a membrana a scambio protonico (“PEM”), che ha una quota di mercato di circa il 30% e viene adottata dalla maggior parte dei principali produttori di elettrolizzatori. Il PEM ha molti vantaggi rispetto all’AE (velocità, sicurezza, eccetera), ma ha anche uno svantaggio significativo, cioè necessita di materiali molto costosi.
  • Una terza tecnologia, a oggi la più promettente secondo gli esperti, è l’elettrolisi a membrana a scambio anionico (“AEM”). La ricerca sui sistemi AEM fino a oggi è stata limitata alla scala di laboratorio, con particolare attenzione allo sviluppo di elettrocatalizzatori, membrane e comprensione dei meccanismi operativi con l’obiettivo generale di ottenere un’alta efficienza, basso costo e dispositivi AEM stabili.

L’alternativa sintetica al combustibile: gli e-fuel

Le alternative verdi per i trasporti includono anche gli e-fuel: si tratta di combustibili sintetici, risultanti dalla combinazione di idrogeno verde e CO2 catturata da una fonte concentrata (per esempio i gas di scarico di un sito industriale) o dall’aria (tramite cattura diretta dell’aria, in gergo nota come DAC). L’idrogeno può essere usato nel settore dei trasporti per veicoli elettrici a celle a combustibile o può essere portato a reagire con la CO2 per formare altri combustibili gassosi, come il metano o il syngas. Il syngas può poi essere trasformato in e-fuel liquidi come il diesel o la benzina usando la sintesi Fischer-Tropsch.

Gli e-fuel sono anche descritti come elettrocarburanti, power-to-X (PtX), power-to-liquid (PtL), power-to-gas (PtG) e combustibili sintetici. Questi prodotti consentono di ottenere una significativa riduzione di CO2 rispetto ai combustibili fossili, offrendo un’alternativa complementare convincente per la mobilità a bassa CO2. La potenziale riduzione di emissioni è circa dell’85-96% se calcolata con metodologia base well-to-tank (che considera i costi energetici connessi con l’elaborazione della fonte primaria, cioè estrazione, lavorazione e trasporto), o del 70% se calcolata con metodologia LCA (che quantifica gli impatti ambientali lungo l’intero ciclo di vita, e quindi dalla fase di estrazione delle materie prime necessarie per la produzione dei materiali e dell’energia per la produzione del bene, fino alla fase del loro smaltimento finale). Inoltre, la maggior parte dei carburanti sintetici, tra cui metano sintetico, diesel, benzina, cherosene e altri, possono essere immediatamente utilizzati in apparecchi e infrastrutture esistenti.

I costi di produzione degli e-fuel sono attualmente relativamente alti (fino a 7 euro al litro) ma dovrebbero diminuire nel tempo grazie alle economie di scala, al progresso delle conoscenze tecniche, e a una prevista riduzione del prezzo dell’elettricità rinnovabile; questo dovrebbe portare a un costo di 1-3 euro al litro (senza tasse) nel 2050, circa 1-3 volte superiore al costo dei combustibili fossili, entro il 2050.

A causa delle perdite di conversione, anche in questo caso il prezzo dell’elettricità è il principale determinante dei costi variabili della produzione di e-fuel. L’accesso a una fonte sostenibile e conveniente di energia rinnovabile è quindi essenziale per il funzionamento economicamente redditizio di un impianto di produzione di carburanti sintetici.

Una spinta alla domanda di queste alternative a diesel e benzina potrebbe venire dalle regolamentazioni di alcuni Paesi. Per esempio, sulla base della Renewable Energy Directive II (“RED II”) della Commissione Europea, la Germania ha approvato una legge nel maggio 2021 per aumentare gli obiettivi di riduzione delle emissioni nel suo settore dei trasporti. Per soddisfare tali ambizioni, è stata firmata una tabella di marcia per l’efficientamento del mercato del carburante per l’aviazione, basato sull’elettricità e sull’ecosostenibilità. Il governo tedesco ha deciso di prescrivere una quota fissa per il cherosene sintetico miscelato, attesa allo 0,5% entro il 2026, con la previsione di un aumento al 2% entro il 2030. La quota minima vincolante, progressivamente crescente per il cherosene a base di energia elettrica prevista dal governo federale, ne farà avanzare in modo massiccio la produzione su scala industriale. Le disposizioni legali del governo creano la certezza dell’investimento necessaria per l’ulteriore sviluppo di tecnologie sostenibili e la costruzione di impianti.

L’interesse del Venture Capital nell’idrogeno verde e nell’e-fuel

Sia l’idrogeno verde che l’e-fuel sono due settori giovani, le cui tecnologie sono in fase di ricerca e sviluppo (idrogeno verde) o di validazione (e-fuel), pertanto si iniziano a vedere solo da poco i primi investimenti da parte dei fondi di Venture Capital.

Per quanto riguarda l’idrogeno verde, il principale deal visto finora riguarda il round da 24 milioni di dollari raccolti a giugno 2021 dall’azienda americana Electric Hydrogen, a cui hanno partecipato Breakthrough Energy Ventures, Prelude Ventures e Capricorn’s Technology Impact Fund.

Per quanto riguarda l’e-fuel, i deal principali riguardano due aziende tedesche: Sunfire, che ha raccolto oltre 54 milioni di euro da gennaio 2013 a novembre 2020, in diversi round in cui hanno investito tra gli altri Inven Capital, Idinvest e Total Carbon Neutrality Ventures; e Ineratec, che ha chiuso un round a luglio 2021 (con un ammontare non divulgato) da parte di Planet A Ventures ed Extantia Capital.

Quale futuro per i trasporti pesanti?

L’idrogeno verde rappresenta probabilmente il futuro a lungo termine per i trasporti, perché è l’unica soluzione a impatto zero in termini di emissioni di CO2. Lo stadio ancora preliminare della tecnologia (soprattutto dell’idrolisi AEM, che come si è detto è quella maggiormente promettente), oltre che gli alti costi e gli elevati investimenti necessari per costruire le infrastrutture, potrebbero rendere lunghi i tempi di attesa per vedere uno sviluppo dell’idrogeno verde. Intanto qualcosa si sta già muovendo, infatti a inizio ottobre 2021 è stata annunciata la nuova joint venture tra Ardian e FiveT Hydrogen, Hy24, che punta a raccogliere 1,5 miliardi di euro che saranno investiti in infrastrutture per l’idrogeno verde.

Sebbene rappresenti una soluzione temporanea, in quanto non abbatte completamente le emissioni di CO2, l’e-fuel ha tuttavia il vantaggio di essere facilmente immagazzinabile, e potrebbe essere utilizzato nelle infrastrutture esistenti. Quindi è probabile ipotizzare uno scenario in cui in una prima fase l’e-fuel possa rappresentare la principale alternativa sostenibile ai combustibili fossili per il trasporto pesante, per poi, in una seconda fase, essere affiancato (e, in una terza fase, sostituito) dall’idrogeno verde.

Per accelerare la transizione tra fonti fossili a fonti rinnovabili saranno necessari sforzi su molteplici fronti. Da un lato i governi dovranno continuare a incentivare il passaggio a fonti rinnovabili imponendo obblighi (come ha fatto la Germania per il trasporto aereo) ed elargendo contributi per abbassare un costo che a oggi non è ancora competitivo rispetto alle fonti fossili, oltre che stanziando risorse per finanziare i progetti di ricerca e sviluppo che abbiano come oggetto l’e-fuel o l’idrogeno verde, e infine investendo nelle infrastrutture per favorire lo sviluppo dell’idrogeno. Dall’altro, i fondi di Venture Capital e le grandi aziende dovranno osare maggiormente in questi due verticali ancora giovani ma con un alto potenziale di crescita, investendo maggiormente rispetto a quanto fatto finora. Sarà necessario, inoltre, che il costo dell’energia elettrica rinnovabile si abbassi ulteriormente per poter permettere una maggior competitività sia per l’e-fuel che per l’idrogeno verde.

La riduzione delle emissioni di CO2 per combattere il cambiamento climatico è una priorità non più rimandabile, ed è una battaglia da vincere su molteplici settori. In un’epoca storica dove stiamo vedendo, finalmente, un’iniziale transizione da combustibile fossile a elettrico per il trasporto leggero, non si può ignorare il settore dei trasporti pesanti, che con un peso del’8,8% sulle emissioni annue globali di CO2 ha urgenza di accelerare il processo di decarbonizzazione. Le tecnologie si conoscono, anche se vanno ancora migliorate. La strada sarà lunga e non c’è ulteriore tempo da perdere.


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